“Esprimiamo forte preoccupazione sullo stallo della situazione economica del Paese che può avere effetti negativi su tutto il sistema Italia”. È quanto affermano Pierpaolo Burioli e Massimo Mazzavillani, rispettivamente presidente e direttore della CNA di Ravenna. “C’è l’esigenza che il Governo, in una fase così critica, garantisca modalità e tempi della ripartenza economica fluidi e snelli, eliminando tutti gli ostacoli”.
“In merito all’analisi congiunturale che presentiamo oggi – proseguono Burioli e Mazzavillani – purtroppo registriamo ancora grosse difficoltà da parte delle imprese nell’accesso al credito e quando riescono a ottenerlo oltre i due terzi di queste devono utilizzarlo per esigenze di liquidità”.
“I primi mesi del 2020 rappresentano di fatto uno spartiacque tra un “prima”, caratterizzato da una sostanziale tenuta del nostro sistema economico, seppure in un contesto a volte critico, e un “dopo” che è tutto da costruire e in cui è fondamentale dotare le imprese di tutti gli strumenti utili per affrontare le impegnative sfide del mercato che richiedono una maggiore consistenza organizzativa. In questo ambito vogliamo ricordare l’importante ruolo svolto dai Consorzi artigiani che, da sempre, rappresentano una peculiarità del territorio ravennate”.
“La situazione difficile che stiamo vivendo – continuano Burioli e Mazzavillani – richiede maggiore attenzione su più direttrici. Innanzitutto la semplificazione attraverso la valorizzazione delle responsabilità di imprese e cittadini, superando il modello delle autorizzazioni ex-ante e rafforzando i controlli ex-post. Sarà cruciale una riforma del fisco tesa ad eliminare le iniquità, a ridurre il peso burocratico e con una reale riduzione della tassazione che oggi in Italia viaggia attorno al 62%. Centrale rimane il tema del credito: le difficoltà incontrate dalle imprese in questi mesi nell’accesso al credito vanno definitivamente superate e riteniamo importante prevedere la messa in campo di ulteriori risorse da parte degli Enti Locali, visti i buoni risultati prodotti dal bando della Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio. Occorrerà sostenere i consumi interni attraverso incentivi dedicati, come ad esempio l’Ecobonus al 110% per il settore costruzioni. Gli incentivi dovranno essere estesi anche ad altri comparti, come l’automotive per rinnovo parco automezzi e i beni durevoli e semidurevoli del settore casa. Infine, servirà un grande piano di investimenti pubblici in grado di recuperare i ritardi accumulati negli anni dal nostro Paese rispetto all’adeguamento e al potenziamento della dotazione infrastrutturale, con particolare attenzione all’Alta Velocità sulla dorsale adriatica, ai collegamenti viari e alle manutenzioni stradali, all’edilizia scolastica e sanitaria, alla difesa del suolo e alla messa in sicurezza del territorio, alla riqualificazione e alla rigenerazione urbana e così via”.

IL QUADRO ECONOMICO NAZIONALE
Nel 2019 la crescita dell’economia ha segnato un marcato rallentamento. Dal lato della domanda, nonostante la decelerazione delle esportazioni, il calo delle importazioni ha determinato un contributo positivo della domanda estera netta. Dal lato dell’offerta di beni e servizi, la crescita del valore aggiunto è stata sostenuta nel settore delle costruzioni, modesta nei servizi, mentre l’agricoltura e le attività manifatturiere hanno subito una contrazione. Le unità di lavoro sono aumentate a un ritmo più moderato rispetto all’anno precedente. L’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche ha registrato un netto miglioramento rispetto al 2018 e la pressione fiscale è aumentata.
Nel 2019 il PIL ai prezzi di mercato è stato pari a 1.787.664 milioni di euro correnti, con un aumento in termini di volume dello 0,3%.
Dal lato della domanda interna nel 2019 si registra, sempre in termini di volume, una crescita dell’1,4% degli investimenti fissi lordi e dello 0,2% dei consumi finali nazionali. Per quel che riguarda i flussi con l’estero, le esportazioni di beni e servizi sono aumentate dell’1,2% e le importazioni sono diminuite dello 0,4%.
La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito positivamente alla crescita del PIL per 0,4 punti percentuali. L’apporto della domanda estera netta è stato positivo per 0,5 punti, mentre la variazione delle scorte ha contribuito negativamente per 0,6 punti.
A livello settoriale, il valore aggiunto ha registrato aumenti in volume nelle costruzioni (+2,6%) e nelle attività dei servizi (+0,3%); è in calo nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (-1,6%) e nell’industria in senso stretto (-0,4%).
Il saldo primario (indebitamento netto meno la spesa per interessi) misurato in rapporto al PIL, è stato pari al +1,7% (+1,5% nel 2018).
L’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche (AP), misurato in rapporto al PIL, è stato pari al -1,6%, a fronte del -2,2% del 2018.
Occupazione. Rispetto a dicembre 2018 la crescita dell’occupazione (+0,6%, pari a +136 mila unità), coinvolge donne, uomini e tutte le classi d’età ad eccezione dei 35-49enni per i quali la diminuzione è imputabile al decrescente peso demografico. Aumentano anche i lavoratori dipendenti (+207 mila unità), soprattutto permanenti (+162 mila), mentre gli occupati indipendenti diminuiscono di 71 mila unità. Nell’arco dei dodici mesi, l’aumento degli occupati si accompagna a un calo dei disoccupati (-5,3%, pari a -143 mila unità) e degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,9%, pari a -115 mila).
La crescita delle Unità di lavoro (Ula) ha interessato tutti i macrosettori, ad eccezione dell’industria in senso stretto (- 0,4%). L’occupazione è aumentata dell’1,9% nelle costruzioni, dello 0,3% nei servizi e dello 0,1% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca.
Movimentazione delle imprese. Sono 353.052 le imprese nate nel 2019, circa 5.000 in più rispetto all’anno precedente. A fronte di queste, però, 326.423 hanno chiuso i battenti nello stesso periodo, 10.000 in più rispetto al 2018. Il risultato di queste due dinamiche ha consegnato, a fine anno, un saldo tra entrate e uscite positivo per 26.629 imprese (+0,44%), il saldo minore degli ultimi 5 anni. A fine dicembre 2019, quindi, lo stock complessivo delle imprese esistenti ammontava a 6.091.971 unità. A guadagnare terreno sono stati i settori dei servizi legati al turismo (8.211 imprese in più per l’alloggio e la ristorazione), le attività professionali (+6.663), i servizi alle imprese (+6.319) e – sulla scia del basso costo dei mutui e degli incentivi al recupero edilizio ed energetico – le attività immobiliari (+4.663) e le costruzioni (+3.258). Si restringe invece ulteriormente (-4.107 imprese) la platea del settore manifatturiero, quella del commercio (-12.264) e dell’agricoltura (-7.432). Segnali se non positivi, quantomeno incoraggianti vengono dall’artigianato che, pur chiudendo in rosso il bilancio annuale (-7.592 attività), dopo otto anni vede tornare a crescere il numero delle iscrizioni di nuove imprese. A conferma di un trend ormai consolidato, il bilancio del tessuto imprenditoriale resta positivo quasi esclusivamente per merito delle società di capitali (+3,52% il loro tasso di crescita nel 2019, per un saldo pari a ben 60.382 imprese in più rispetto al 2018). Un ‘bottino’ sufficiente a compensare la perdita di circa 18mila società di persone (-1,8%) e di poco più di 16mila imprese individuali (-0,5%).

IL QUADRO ECONOMICO REGIONALE
L’Emilia-Romagna ha chiuso il 2019 con un incremento del PIL dello 0,4%. Pur essendo un incremento modesto rispetto alle dinamiche internazionali rimane comunque al di sopra della media nazionale e si colloca ai vertici della crescita delle regioni italiane. L’andamento settoriale si è caratterizzato per una ripresa sostenuta del settore delle costruzioni, +4,1% la variazione del valore aggiunto rispetto all’anno precedente, una buona tenuta del terziario, +0,6%, e una frenata dell’industria, mantenuta in area positiva (+0,1%) dalla crescita delle esportazioni (+3,7%). Nel 2019 l’incidenza delle esportazioni in Emilia-Romagna sul PIL ha superato il 41% (il Veneto, seconda regione italiana, si ferma al 40 per cento, l’Italia al 27%). Nel 1990 l’incidenza export sul PIL dell’Emilia-Romagna era solo del 16%, quinta regione in Italia e poco distante dal 13% nazionale. In flessione il settore agricolo, -2,4%.
Occupazione.  Nel corso del 2019 in Emilia-Romagna il numero degli occupati è aumentato di quasi 28.000 unità, pari ad un incremento percentuale dell’1,4%. Il numero dei disoccupati è sceso di circa 5.700 unità. Il tasso di disoccupazione si è attestato attorno al 5,5%.
Movimentazione delle imprese. Al 31 dicembre 2019 le imprese registrate in Emilia-Romagna sono risultate 451.976. Rispetto alla fine dell’anno precedente hanno accusato una perdita di 2.362 unità (-0,5%) leggermente inferiore a quella subita nel 2018. Ma la tendenza alla contrazione delle imprese registrate prosegue senza interruzione dal 2012. La condizione dell’imprenditoria regionale resta difficile. Anche a livello nazionale la tendenza è meno positiva nel 2019, registrando il saldo minore degli ultimi cinque anni, ma ha condotto a un più lieve decremento dello 0,1% delle imprese registrate. In ambito regionale, nel 2019 le iscrizioni (25.414) sono solo minimamente aumentate rispetto all’anno precedente (25.172), ma il dato resta molto prossimo al minimo degli ultimi dieci anni. Il tasso di natalità è salito di un decimale al 5,6%. Le cessazioni sono state pari a 27.907 e sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto al 2018 (27.901) che resta il minimo dell’ultimo decennio. Il tasso di mortalità è quindi rimasto al 6,1%, anch’esso il più contenuto degli ultimi dieci anni. Relativamente al comparto artigiano l’Emilia Romagna ha registrato nel corso del 2019 la nascita di 8.864 nuove imprese contro 9.932 cancellazioni, con un saldo negativo di -1.068 unità. Il tasso di crescita è stato pari a – 0,84%. Il dato peggiora ulteriormente se si aggiungono le cosiddette cancellazioni d’ufficio che lo fanno lievitare a -1.374 aziende (-1,07%). Lo stock delle imprese artigiane emiliano romagnole ammonta al 31.12.2019 a 125.884 imprese (contro le 127.258 del 31/12/2018).

IL QUADRO ECONOMICO PROVINCIALE
Nel corso del 2019, il sistema produttivo della provincia di Ravenna, nonostante un contesto internazionale e nazionale in rallentamento ed il permanere di alcune criticità, è riuscito a realizzare performance leggermente inferiori quelle regionali e migliori di quelle medie nazionali, con indicatori comunque ancora in crescita. Secondo gli scenari di previsione infatti il 2019 si è chiuso con una crescita stimata del valore aggiunto, cioè della ricchezza prodotta, per la provincia pari al +0,3% rispetto al 2018. Questo risultato è stato inferiore a quello dell’Emilia-Romagna (+0,4%) mentre è sostanzialmente in linea al dato nazionale (+0,3%). Quasi tutti i settori ne hanno beneficiato, anche se con diverse intensità: in particolare il settore delle costruzioni con una crescita del valore aggiunto settoriale pari a +6,7%; a seguire, il composito settore dei servizi che è cresciuto del +0,3% e l’industria manifatturiera (+0,2%). L’unica eccezione è rappresentata dal valore aggiunto dell’agricoltura, in calo del -6,5%. Andando avanti nell’analisi, per quanto riguarda le esportazioni, il dato a consuntivo del 2019 mostra per la provincia di Ravenna ancora un buon incremento annuo (+3,9% rispetto al 2018) e migliore dei risultati dell’export regionale e nazionale (+3,5% e +1,7% rispettivamente).
Occupazione. Passando al mercato del lavoro, i dati relativi al 2019 hanno fatto registrare, per la nostra provincia, un incremento degli occupati del +2,3%, migliore dell’incremento registrato sia in Emilia-Romagna (+1,4%), sia in Italia (+0,6%). Il tasso di disoccupazione è risultato pari al 4,6%.
Movimentazione delle imprese. Per l’anno scorso si conferma il calo del numero delle imprese ed il saldo negativo fra avvii e chiusure di attività. Al 31 dicembre 2019 infatti sono state contabilizzate 38.674 imprese in provincia di Ravenna e sono risultate 435 in meno rispetto alla stessa data dell’anno precedente. I flussi di nati-mortalità al Registro Imprese di Ravenna, evidenziano che le imprese avviate complessivamente nel 2019 sono state 1.935, a fronte di 2.186 cancellazioni volontarie e di 191 cancellazioni d’ufficio (cioè amministrative), determinando quindi un saldo netto negativo e pari a -251 unità. Il tasso di variazione continua ad essere negativo e pari a -0,64%, in lieve peggioramento rispetto a quello medio degli ultimi anni. A ciò occorre anche aggiungere che il territorio ravennate continua ad essere caratterizzato da un calo del numero delle imprese relativamente superiore a quello che si registra in ambito regionale. Infatti, anche il tasso medio dell’Emilia-Romagna rimane negativo, però risulta più contenuto, seppure di poco, rispetto al dato provinciale, attestandosi negli ultimi dodici mesi a -0,31%. All’opposto, a livello nazionale trova conferma la crescita del numero delle imprese, in atto dal 2013, con un tasso di variazione positivo nei dodici mesi e pari a +0,44%; da rilevare, tuttavia, che in ambito nazionale il tasso di crescita è comunque il minore tra quelli realizzati negli ultimi cinque anni. Se si contano alla fine di dicembre 38.674 imprese registrate, uno degli stock complessivo delle imprese in provincia di Ravenna fra i più bassi da quando è stato istituito il Registro Imprese delle Camere di Commercio, quelle attive, cioè le sedi di impresa operative (e senza procedure concorsuali in atto) sono risultate 34.401 e accusano una flessione, rispetto alla fine del 2018 ed in termini di variazione percentuale, pari a -1,2%. La presenza ed il permanere di segnali di difficoltà, sia sui mercati internazionali, sia su quelli domestici, continua a ripercuotersi sul sistema imprenditoriale, in particolare sulle piccole e piccolissime imprese, motivo per cui gli imprenditori si trovano ad affrontare notevoli complessità. In dieci anni si sono inoltre perse 3.627 imprese attive, valore assoluto corrispondente ad un calo del -9,5% (variazione percentuale delle imprese attive fra dicembre del 2019 ed il dicembre del 2009): la tendenza alla riduzione delle imprese attive prosegue ininterrotta dal 2009. Le localizzazioni registrate, ovvero il complesso delle sedi di impresa e delle unità locali, in provincia di Ravenna ammontano a 48.012 unità, di cui 43.378 quelle attive, e risultano in lieve contrazione rispetto all’anno precedente (-0,7%). L’imprenditoria locale, nonostante il calo delle imprese, risulta particolarmente diffusa: la densità imprenditoriale è pari a circa 111 unità locali attive ogni 1.000 abitanti, che è più o meno l’analogo valore per la regione, contro le 105 che si hanno a livello nazionale. Per quanto riguarda la densità territoriale (ovvero quante unità locali attive per chilometro quadrato di territorio) in provincia di Ravenna si registra un indicatore pari a 23,33, cioè circa 23 unità locali ogni chilometro quadrato; 22,17 per l’Emilia-Romagna e 21 a livello nazionale.

Ravenna
Rispetto all’intero tessuto produttivo provinciale, l’incidenza delle imprese artigiane passa dal 26,86% del 31/12/2018 al 26,73% del 31/12/2019, un dato pressoché invariato. Ciò a fronte del fatto che – rispetto al decremento del Registro Imprese di 435 unità – le imprese artigiane sono diminuite di 167 unità, assestando per questo l’incidenza percentuale rispetto al Registro Imprese ai livelli registrati nell’ultimo triennio, così come nell’ultima parte del 2002.
Come si può facilmente osservare, da fine 2008 a fine 2019, il Registro Imprese registra un calo di 3.966 imprese, delle quali oltre il 45% sono imprese artigiane.
Da notare che il dato delle imprese artigiane registrate in Emilia-Romagna (-1,08%) a fine 2018 è “migliore” rispetto a quello riscontrato su Ravenna (-1,59%), ed in linea con quello nazionale (-1,00%).
Rispetto al decremento dell’Albo i comuni della provincia presentano dinamiche e performance molto simili. Tra i comuni principali, si registrano risultati negativi per Ravenna (-1,53%), Cervia (-2,73), Faenza (-1,29%) e Lugo (-0,22%). Per quanto riguarda le aree territoriali, la Romagna Faentina segna un -1,38% e la Bassa Romagna un -1,52%.

Andamento Albo per settori
Relativamente alle Sezioni e alle Divisioni di attività si riscontrano, pur se quasi tutte caratterizzate da un andamento negativo, anche per il 2019, differenze nei trend dei diversi settori.
L’agricoltura e l’industria alimentare (dati aggregati), evidenziano una contrazione del 2,59% rispetto al 2018, che aveva visto una contrazione di minore portata (-0,59%). L’incremento occupazionale registrato nel settore ne conferma tuttavia il buon stato di salute, confermato anche da un discreto incremento in termini di fatturato (+3,4%).
Il settore tessile-abbigliamento-calzaturiero registra una ulteriore contrazione e chiude a -2,05% rispetto al dato del 2018. Tale dato va contestualizzato nel ridimensionamento che ha caratterizzato il comparto nell’ultimo decennio. Indicativi, a tal proposito, i dati relativi al periodo 2009-2019, che riflettono un decremento che si attesta attorno al 22%.
La meccanica di produzione vede un decremento delle imprese del settore pari al 4,97%, confermando i trend negativi che hanno caratterizzato i 7 anni precedenti (-3,38% al 31/12/2018; -3,27% al 31/12/2017; -3,00% al 31/12/2016; -0,83% al 31/12/2015; -4,13% al 31/12/2014; -5,69% al 31/12/2013 e -4,43 al 31/12/2012). Tuttavia, la ripresa del fatturato nell’ultimo triennio e, soprattutto, i trend occupazionali positivi, suggeriscono una lettura diversa dei dati legati al Registro Imprese, ovvero una tendenza delle stesse a strutturarsi maggiormente per far fronte ai nuovi paradigmi della competitività.
Per quanto concerne il settore del legno (industria e lavorazione del legno e fabbricazione di mobili), dopo i decrementi dell’ultimo quinquennio, si registra una lieve ripresa pari allo 0,61%. Questa sostanziale stabilità trova conferma anche nei dati occupazionali (+0,44%) e del fatturato (+0,3%).
Ragionando per aggregati, il settore manifatturiero (agroalimentare, sistema moda, meccanica e legno/arredo) registra una diminuzione del 3,08%.
L’edilizia, vero traino della crescita dell’Albo delle Imprese Artigiane fino al 2008, registra una lieve inversione di tendenza (+0,66%), confermando, tuttavia, le forti difficoltà del settore. Dal 2008, il comparto ha “perso” il 16% delle imprese registrate. Nell’ambito del comparto, segno meno per gli impiantisti elettrici ed elettronici (-2,66%), dove diminuisce soprattutto il numero delle imprese legate maggiormente all’edilizia, sia per quelli idraulici (-1,66%), dove la componente maggiormente resiliente è ascrivibile quasi unicamente alla manutenzione di impianti di riscaldamento. Nel periodo 2009-2019, i due settori hanno registrato decrementi rispettivamente del 15,61% e del 7,80%.
Per quanto concerne il settore dei trasporti, il 2019 si chiude con un decremento delle imprese iscritte all’Albo del 4,16%, da ascriversi esclusivamente al trasporto merci (90% delle imprese del settore). Oltre a tali dati inequivocabili, si conferma una ulteriore contrazione della redditività delle singole imprese, dovuta principalmente dalla riduzione delle tariffe di trasporto riconosciute dal mercato, con ripercussioni pesanti sulla sopravvivenza delle stesse.
Nella manutenzione e riparazione di auto e motoveicoli si registra una contrazione rispetto a fine 2019 dell’1,78%, situazione identica a quella di fine 2018, che va a confermare una più generale contrazione in termini di imprese iscritte che caratterizza costantemente questo settore da ormai diversi anni, generato da un lato dalla crisi dei consumi privati che riducono gli interventi sul loro parco auto, non riparando i piccoli danni o evitando la manutenzione ordinaria del veicolo allo stretto necessario, e dall’altro dall’evoluzione tecnologica dei veicoli che impone una maggiore specializzazione con una conseguente concentrazione delle officine.
Nell’ambito delle attività professionali, si registra un decremento dell’1,30%, risultato che rappresenta un rallentamento rispetto a quanto registrato a fine 2018 (+0,47%).
Nello specifico, per quanto riguarda i servizi alla persona, oltre a un ulteriore decremento delle tinto-lavanderie (-4,38%) e delle imprese di acconciatura (-2,53%), le imprese di estetica continuano ad aumentare considerevolmente (+2,97%). Va ricordato che questi ultimi due settori caratterizzano il comparto per oltre il 90% delle imprese registrate nell’ambito dei servizi alla persona.
A conferma della sempre maggiore tendenza delle Imprese a strutturarsi in forme complesse di organizzazione, per quanto riguarda la forma giuridica, va segnalato il confermarsi del costante aumento delle Società di Capitale, aumentate nell’ultimo anno di una percentuale di poco superiore al 2%, mentre le Società di Persone incidono sul totale imprese artigiane per quasi il 20%.

Occupazione
I dati relativi all’occupazione rilevati nel corso del 2019 evidenziano un incremento della forza lavoro del 4,21%.
Si consolida pertanto il risultato raggiunto da fine 2017, quando, per la prima volta da fine 2008, si era raggiunto un risultato superiore a quello registrato pre-crisi. A fine 2019, rispetto a fine 2008, si constata un aumento occupazionale pari al 10,41%.
Questi dati si riferiscono a un campione rappresentativo di imprese artigiane e piccole imprese.
Relativamente ai principali settori dell’economia artigiana, il comparto delle costruzioni, vero traino della crescita occupazionale fino al 2007, conferma la crescita iniziata nel 2014, dopo la decrescita occupazionale registrata nel quinquennio precedente, evidenziando al 31/12/2019 un incremento del 4,72%.
Incremento occupazionale importante anche per il settore impianti (+2,81%). Occorre comunque ricordare che l’edilizia ha perso quasi il 15% della forza lavoro da fine 2008.
Cala l’andamento occupazionale per le attività inerenti all’auto e moto-riparazione (-1,21%), a interrompere la sorprendente crescita iniziata a fine 2016, che aveva interrotto un trend di costante contrazione nel quinquennio precedente.
Anche il tessile calzaturiero registra un decremento occupazionale -2,87%). Va sottolineato che il settore ha perso, negli ultimi 10 anni, oltre il 30% di occupati.
La meccanica di produzione continua ad esprimere valori positivi (+3,14%). Questo incremento occupazionale, unito al decremento delle imprese registrate, può essere letto come la conferma alla tendenza delle imprese più strutturate a continuare ad assumere addetti.
L’agricoltura e l’industria alimentare (dati aggregati), registrano un forte incremento, pari al 5,69%, confermando il trend avviatosi dal 2015.
Leggermente negativo l’andamento occupazionale per il settore dei trasporti (-0,51%), che però va ascritto esclusivamente al trasporto merci. Va qui ricordato che il trasporto merci ha perso dal 2008 quasi il 25% della forza lavoro.
Il settore dei servizi alla persona esprime un incremento sia per ciò che riguarda gli acconciatori (+9,96%), sia per gli estetisti (+8,93%), confermando l’andamento altalenante e ciclico dei trend del settore nell’ultimo decennio.
Per quanto riguarda i principali comuni e le principali aree territoriali della provincia, si evidenzia ovunque un buon incremento occupazionale: Ravenna (+3,75%), Cervia (+3,08%), Lugo (+5,99%), Bassa Romagna (+4,86%), Faenza (+4,04%) e Romagna Faentina (+2,79%).
Dopo una crescita consecutiva per quattro anni, si contrae fortemente il numero di addetti extra nazionali occupati dalle piccole e medie imprese e dall’artigianato (-13,46%). Dal 2008 si registra una diminuzione di questa forza lavoro di circa il 20%. Le nazionalità più rappresentative in termini di dipendenti extra nazionali sono nell’ordine quella rumena, albanese, marocchina, senegalese e moldava.
Meccanica di produzione, trasporti e impiantistica, si confermano come quelle attività che di più, rispetto ad altre, assorbono manodopera extra nazionale.

Credito e Investimenti
Altri importanti elementi di analisi per cogliere i segnali circa l’andamento dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa nella nostra provincia, si colgono dai dati resi disponibili dalla Banca d’Italia in merito al credito e agli investimenti.
Nel corso del 2019 sono stati concessi in ambito provinciale finanziamenti alle imprese per un valore inferiore del 3,49% a quelli registrati al 31/12/2018.
Va inoltre ricordato che negli ultimi 8 anni si riscontra una diminuzione dei finanziamenti erogati di quasi il 16%.
La contrazione registrata nel 2019 conferma che le dinamiche del credito continuano ancora a risentire della debolezza della domanda di finanziamenti del settore produttivo.
Ulteriore elemento negativo è la decrescita dei prestiti nel settore industriale, -2,16%, dopo anni di crescita continua: sembra arrestata la spinta legata alle misure di agevolazione fiscale sugli investimenti tecnologici contenute nel Piano impresa 4.0.
Crolla il dato relativo agli impieghi bancari destinati al settore dei servizi
(-11,85%), dopo la sostanziale stabilità registrata nell’anno precedente (+0,14%), mentre il settore delle costruzioni segna un -4,26%, in controtendenza rispetto ai timidi segnali di ripresa dell’edilizia e del mercato immobiliare registrati nell’anno precedente.
Possiamo, inoltre, affermare che, in merito all’operatività dei finanziamenti concessi, mentre nel 2008 i due terzi dei finanziamenti riguardavano investimenti produttivi (beni mobili/immobili strumentali) e un terzo concerneva la liquidità (linee correnti e consolidamento), nel corso degli anni la situazione si è ribaltata e nel 2019 assistiamo ai due terzi di richieste per liquidità aziendale e un terzo per investimenti, a conferma dello stato di difficoltà in cui versa ancora il Paese.

Fatturato
Il 2019 si chiude con una variazione positiva dell’1,15%, proseguendo il trend positivo iniziato nel 2015.
Se si confrontano i dati di fine 2019 con quelli disponibili al 31/12/2008 si riscontra, comunque, un calo del fatturato di poco superiore al 10%.
I settori analizzati descrivono dinamiche diverse, anche se, meccanica e servizi alla persona a parte, tutti i settori sono lontani dal fatturato che avevano registrato nel 2008.

Speciale Prime tendenze 2020
Analisi di contesto
Alla fine del 2019, l’economia italiana presentava evidenti segnali di stagnazione, solo in parte mitigati, a inizio 2020, da alcuni segnali positivi sulla produzione industriale e il commercio estero. A partire da fine febbraio, il dilagare dell’epidemia di COVID-19 e i conseguenti provvedimenti di contenimento decisi dal Governo hanno determinato un impatto profondo sull’economia, alterando le scelte e le possibilità di produzione, investimento e consumo ed il funzionamento del mercato del lavoro. Inoltre, la rapida diffusione dell’epidemia a livello globale ha drasticamente ridotto gli scambi internazionali e quindi la domanda estera rivolta alle nostre imprese. Per il 2020 pertanto lo scenario si presenta molto difficile e, in una ottica più ottimistica, con trend in recupero a partire dal 2021. La crisi inciderà particolarmente nell’Area dell’Euro, già colpita da un progressivo rallentamento e per la quale viene prevista una pesante variazione negativa del PIL. L’Italia sarà tra i Paesi più in sofferenza e la crisi a livello nazionale, colpirà più duramente le province a vocazione turistica e ricettiva, quelle con forte componente artigiana, formata da piccole e micro-imprese, e le province export-oriented.

Andamento primo trimestre 2020
Nel primo trimestre del 2020 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2015, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito del 5,3% rispetto al trimestre precedente e del 5,4% nei confronti del primo trimestre del 2019. La flessione congiunturale del PIL diffusa il 30 aprile 2020 era stata del 4,7% mentre quella tendenziale era stata del 4,8%. Il primo trimestre del 2020 ha avuto lo stesso numero di giornate lavorative del trimestre precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al primo trimestre del 2019. La variazione acquisita per il 2020 è pari a -5,5%.  Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in diminuzione, con un calo del 5,1% dei consumi finali nazionali e dell’8,1% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono diminuite, rispettivamente, del 6,2% e dell’8%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per -5,5 punti percentuali alla contrazione del PIL: -4 i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP, -1,5 gli investimenti fissi lordi e -0,1 la spesa delle Amministrazioni Pubbliche (AP). Per contro, la variazione delle scorte ha contribuito positivamente alla variazione del PIL per 1 punto percentuale, mentre il contributo della domanda estera netta è risultato pari a -0,8 punti percentuali. Si registrano andamenti congiunturali negativi del valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi diminuiti rispettivamente dell’1,9%, dell’8,1% e del 4,4%.
Nell’area dell’euro, la stima flash riferita al primo trimestre ha mostrato una decisa contrazione congiunturale del PIL (-3,8%): nel dettaglio nazionale, in Francia si è registrata una caduta del 5,8% e in Spagna del 5,2%. In Germania la flessione è stata meno forte (-2,2%), in linea con un lockdown più limitato per estensione e durata. Le recenti previsioni della Commissione europea stimano per l’area dell’euro una decisa contrazione dell’attività economica quest’anno (-7,7%) e un rimbalzo nel 2021 (+6,3%), a sintesi di performance eterogenee tra i paesi. Vista l’elevata incertezza che caratterizza la congiuntura internazionale e i numerosi rischi al ribasso, la Commissione europea ha presentato anche uno scenario caratterizzato dall’ipotesi di una seconda ondata della diffusione del virus, che determinerebbe una ulteriore contrazione del PIL per 2 punti percentuali rispetto allo scenario base.

In base a questi trend l’ISTAT ha previsto una marcata contrazione del PIL nazionale nel 2020 (-8,3%) e una ripresa parziale nel 2021 (+4,6%). Nell’anno corrente la caduta del PIL sarà determinata prevalentemente dalla domanda interna al netto delle scorte (-7,2 punti percentuali) condizionata dalla caduta dei consumi delle famiglie e delle ISP (-8,7%) e dal crollo degli investimenti (-12,5%), a fronte di una crescita dell’1,6% della spesa delle Amministrazioni pubbliche. Anche la domanda estera netta e la variazione delle scorte sono attese fornire un contributo negativo alla crescita (rispettivamente -0,3 p.p. e -0,8 p.p.). L’evoluzione dell’occupazione, misurata in termini di ULA, è prevista evolversi in linea con il PIL, con una brusca riduzione nel 2020 (-9,3%) e una ripresa nel 2021 (+4,1%). Diversa appare la lettura della crisi del mercato del lavoro attraverso il tasso di disoccupazione, il cui andamento rifletterebbe anche la decisa ricomposizione tra disoccupati e inattivi e la riduzione del numero di ore lavorate. L’andamento del deflatore della spesa delle famiglie manterrebbe una intonazione negativa nell’anno corrente (-0,3%) per poi mostrare modesti segnali di ripresa nell’anno successivo (+0,7%).

Scendendo nel dettaglio territoriale, secondo le previsioni di Prometeia, per il 2020 nella provincia di Ravenna è attesa una diminuzione del valore aggiunto complessivo, rispetto al 2019, pari a -6,4%: una caduta inferiore a quella prevista per l’Emilia- Romagna (-7%). Questi dati potrebbero essere rivisti al ribasso in relazione alle ultime previsioni ISTAT. Tutti i settori ne risentiranno, a cominciare dall’industria (-12,7%), a cui si accompagna l’edilizia (-9,2%); a seguire il calo del valore aggiunto agricolo (-4,5%) e del valore aggiunto del settore dei servizi (-4,3%). I