Il 4 dicembre 1944, a esito di una brillante operazione militare condotta d’intesa con gli Alleati, passata alla storia come la battaglia delle valli, i partigiani della 28ª Brigata GAP “Mario Gordini”, comandati da Arrigo Boldrini, “Bulow”, liberano Ravenna dai nazifascisti.
Dieci giorni più tardi, il 14 dicembre, entra in carica una Giunta amministrativa provvisoria, presieduta dal prof. Riccardo Campagnoni, repubblicano, e composta da esponenti di tutte le formazioni politiche antifasciste aderenti al CLN, dai liberali agli anarchici.
Mentre i partigiani proseguono la lotta a fianco dell’VIII Armata Britannica e del Gruppo di Combattimento Cremona del ricostituito Esercito Italiano, l’amministrazione provvisoria ravennate deve affrontare le emergenze della ricostruzione e dell’assistenza alla popolazione civile, messa a dura prova dalla guerra, divenuta, dopo l’avvento della Repubblica di Salò, anche una sanguinosa guerra civile.
La città di Ravenna, sottoposta dalla fine di dicembre del 1943 a numerosi e terribili bombardamenti, è semidistrutta. Su un totale di 12.000 edifici, 3.000 sono stati rasi al suolo, quasi 5.000 hanno subito danni ingenti; la stazione ferroviaria, il porto, l’acquedotto, le infrastrutture sono pressoché inutilizzabili. Tutte le attività produttive, dall’agricoltura all’industria, dall’artigianato al commercio al terziario sono severamente compromesse.
Altrettanto drammatica è la situazione negli altri centri della provincia. A Cervia, Russi, Faenza, Brisighella, Casola Valsenio, liberate tra l’ottobre e il dicembre 1944, si aggiungono, dopo il definitivo crollo del fronte nell’aprile 1945 che apre la strada del nord Italia alle truppe angloamericane, Lugo e gli altri comuni della valle del Senio.
«La situazione creatasi nelle località sulla linea del Senio – scrive il 28 aprile 1945 «Democrazia», organo del CLN provinciale – è impressionante e sovrasta ogni terribile previsione».
Un intero territorio si trova letteralmente in ginocchio, specchio di una nazione uscita devastata dalla guerra voluta a tutti i costi da Mussolini e che ha trovato nella Resistenza un’occasione di riscatto e di rilegittimazione agli occhi delle potenze alleate.
È in questo contesto di gravissimo disagio, ma anche di ritrovate speranze per il futuro, che il CLN provinciale presieduto dal democristiano Benigno Zaccagnini nomina un comitato di artigiani con il compito di formare un’associazione rappresentativa di tutte le categorie, ventiquattro per l’esattezza, dell’artigianato locale.
Il comitato, formato da Mario Benelli, Francesco Busa, Alfredo Celotti, Michele Missiroli, Guido Montanari e Renato Zanotti, si riunisce alle ore 10 del 5 giugno 1945 al numero 29 di via Corrado Ricci, già sede della Federazione Fascista degli Artigiani.
Verbale di Costituzione della Unione Artigiani della Provincia di Ravenna
L’Unione Artigiani della Provincia di Ravenna, che il 6 ottobre 1947 assumerà la nuova denominazione di Associazione Provinciale Artigiani di Ravenna (APA), ha inizialmente una matrice unitaria, espressione di tutte le tendenze politiche, nonostante a livello nazionale già operino e si confrontino organizzazioni distinte di diverso orientamento ideologico. La dirige l’alfonsinese Ugo Venturi, classe 1909, combattente antifascista di lungo corso, convinto propugnatore dell’unità del movimento artigiano.
Tra la fine degli Quaranta e i primi anni Cinquanta, tuttavia, le fortissime tensioni della Guerra Fredda, che riverberano ormai in ogni aspetto della vita politica e sociale italiana la rigida contrapposizione in blocchi Est-Ovest e incrinano il fronte del lavoro portando a scissioni nel sindacato e nella cooperazione, investono inevitabilmente anche il mondo dell’Artigianato.
Alla fine del 1952 un gruppo di artigiani faentini cattolici fuoriusciti dalla locale sezione dell’APA fonda il primo nucleo della FAPA-Federazione Autonoma Provinciale Artigiani, mentre l’APA consolida i propri legami con la CNA nazionale, fino a quando, nel 1953, trasforma il proprio nome da APA in CNA provinciale di Ravenna.